L’attenzione è un elemento base della biologia umana ed è una capacità innata: ce l’hanno pure i bambini. È influenzata dalle emozioni, se sei stressato per una scadenza probabilmente ti concentrerai di più ma troppo stress ti farà perdere il controllo, e dai livelli di allerta, che è il motivo per cui sei meno concentrato se sei stanco.
“L’attenzione è ciò che ci permette di selezionare le informazioni, che siano esterne o generate internamente, che sono più rilevanti per qualsiasi siano i nostri obiettivi comportamentali al momento, e di filtrare tutto il materiale collaterale che non ci serve”, ci dice Sabine Kastner, neuroscienziata dell’Università di Princeton. “Per capire l’attenzione, bisogna capire che entrambe le cose devono accadere insieme: selezionare e filtrare”.
Ecco perché l’attenzione è limitata: pochissime informazioni riescono a passare attraverso l’imbuto del nostro cervello. Diventiamo ciechi a tutto il resto, un fenomeno che si chiama letteralmente “cecità da disattenzione”. Non è esattamente chiaro quante siano le cose su cui possiamo concentrarci contemporaneamente e per quanto tempo, ma il nostro cervello sembra preferire concentrarsi su poche cose e ben scandite. Secondo la ricerca di Kastner, “il faro dell’attenzione è meno un riflettore e più uno strobo”. L’attenzione cala quattro volte ogni secondo, dando al cervello la possibilità di valutare brevemente se vale la pena prestare attenzione ad altri stimoli.
“La tua concentrazione ha bisogno di più concentrazione”
Jackie Chan, The Karate Kid
Il mind-wandering, cioè sognare ad occhi aperti, si può definire come l’opposto della concentrazione. Secondo la scienza lo fai per circa il 50% del tempo, il 12% del tempo riflettendo sul passato, il 28% sul presente e il 48% sul futuro. Nonostante ti possa sembrare che stai danneggiando il tuo focus quando lasci vagare la mente, in realtà quelli sono i momenti in cui il tuo cervello si ricarica per concentrarsi al meglio in seguito.
Flow, un termine coniato dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi, significa essere iper-concentrati, completamente assorbiti ed energizzati dal compito che si sta svolgendo. Questo è lo stato in cui entrano spesso gli atleti professionisti, come alle finali dell’NBA del 1992 quando Michael Jordan fece sei canestri da 3 punti in soli 18 minuti e poi, girandosi verso la folla, confuso, alzò le spalle, dicendo che era così “in the zone” che non sapeva nemmeno come aveva fatto.
Il cosiddetto multitasking in realtà non dovrebbe proprio esistere, almeno per la maggior parte di noi comuni mortali. Anche se il 70% degli studenti universitari pensa di essere meglio della media nel multitasking, quando fai più cose contemporaneamente in realtà stai solo passando da un compito all’altro molto rapidamente. Questo quà-e-là costante drena le risorse di glucosio del tuo cervello e ti rende il 30% più lento e il 30% meno preciso.
Solo un eccezionale 2-3% della popolazione si può definire “supertasker”: persone il cui rendimento aumenta quando aumentano le cose che devono fare allo stesso tempo. “Pensiamo che sia una capacità individuale innata e non qualcosa che può essere acquisito. Fare pratica può migliorare le prestazioni, ma i supertaskers eccellono in modi che una persona qualunque non potrebbe automatizzare”, ci dice il professore David Strayer, che ha coniato il termine.
Fergal “Eyesore” Fleming ha passato 40 minuti e 59 secondi letteralmente senza battere ciglio, vincendo così la competizione nazionale australiana di fissarsi negli occhi, So You Think You Can Stare.